Nei 10 viaggi da fare almeno una volta nella vita c’è assolutamente Lei: la storica Route 66.
Negli anni è stata celebrata da scrittori, cantanti e attori hollywoodiani. Diciamo la verità, ogni qual volta si sia pensato ad un viaggio “on the road” il primo pensiero andava a questa strada. Il mito e il fascino di percorrerla è rimasto ed è cresciuto così tanto da portare su questa lingua di cemento che unisce gli Stati Uniti, turisti e viaggiatori da ogni parte del mondo.
La Route 66, che prese vita nel 1926, ha rappresentato fin dal primo giorno il sinonimo di successo e speranza per gli Stati Uniti e per tutti coloro che provenivano da est e che si spostavano sulla costa opposta in cerca di fortuna. Venne raccontata benissimo da John Steinbeck nel romanzo Furore, tanto che il soprannome Mother Road, ripreso poi anche in alcune canzoni di Chuck Berry, Rolling Stones e Nat King Cole, lo si deve proprio a lui.
Negli anni ’50 e ’60, proprio quando la Route 66 stava conoscendo il suo picco di fama e successo, con la costruzione di motel, stazioni di servizio, drive-in e impianti di illuminazione a neon, iniziò il declinò, causato da una necessità sempre più grande di collegare le due coste anche attraverso collegamenti stradali a più corsie, che correvano paralleli all’ormai sacra Mother Road.
Ad oggi la Route 66 è sparita anche da alcune cartine stradali, sostituita da nuove numerazioni e denominazioni (Interstate) e si presenta come un mix discontinuo di manto stradale con le relative modifiche attuate negli anni, anche se più dell’80% del tracciato originale è rimasto intatto, seppur a tratti risulta essere abbandonato.
Oltre a questo, la National Route 66 Corridor Preservation Program, ovvero le leggi che regolano e finanziano i lavori per il mantenimento della stessa strada, potrebbero subire forti stravolgimenti visti i tagli imposti dalle nuove disposizioni di Trump. Queste regolamentazioni permettono, oltre al mantenimento del manto stradale, di tenere in piedi i business che ruotano attorno alla Mother Road, come i piccoli motel, la manutenzione delle insegne al neon e dei celebri drive-in, che come detto sono già caduti in semi-abbandono dopo gli anni ’50, ma che hanno mantenuto intatti la loro storia polverosa.
Ho avuto la fortuna di arrivare a Santa Monica, lì dove finisce la Route 66 e sentire ancora viva e in fermento tutta la passione di chi arriva sul molo soltanto per farsi una foto aggrappati all’insegna che avvisa “End of the trail”.
Penso che ogni viaggiatore abbia il potere di mantenere eterna la magia di un luogo e sono sicuro che questa magia rimarrà tale anche nel caso in cui quattro fogli dovessero mai decidere, con una firma scarabocchiata in basso a destra, che questa strada debba rimanere abbandonata a sé stessa. No, non sarà così. La Route 66 rimarrà sempre il sogno di tutti coloro che non vedono l’ora di percorrerla con il vento fra i capelli e con il gomito appoggiato al finestrino. E non dimenticatevi la radio: iniziamo con Chuck Berry?
Good luck Mother Road!