Vi avviso. Armatevi di tanta pazienza perché alla fine di ogni viaggio avrei voglia di scrivere per giorni e questo pensiero ha quel non so che d’infinito.
- abbiamo attraversato 3 Paesi (Indonesia, Thailandia, Malesia)
- siamo saliti su 8 aerei
- abbiamo usato 10 mezzi di trasporto (aereo, taxi, tuk tuk, scooter,bus, traghetti, barche veloci, metro, skytrain e anche un cavallo!)
- abbiamo fatto più di 24 ore di bus
- abbiamo scalato 2 vulcani e per 2 volte abbiamo ammirato l’alba da lassù
- abbiamo cambiato 8 volte fuso orario
- abbiamo incontrato (solo) 2 italiani (per fortuna?!)
Ho inalato lo zolfo credendomi morto ma poi, ho visto gente farlo tutti i giorni, per otto ore al giorno. Ho percorso chilometri nel buio per raggiungere il cratere di un vulcano con pendenze assurde ma poi ho visto gente farlo tutti i giorni con 60 kg sulle spalle. Tutti i giorni. Da una vita. Per sessanta euro al mese. Ho visto bimbi felici e con un sorriso così per una foto con un occidentale. Ho visto genitori che mi ringraziavano a mani giunte per un gesto innocuo.
Sono rimasto affascinato dai tramonti indonesiani, con dei colori mai visti, che si avvicinavano all’arancione, ma quell’arancione che non trovi sulla tavolozza dei colori, talmente è bello.
Ho vissuto la magia dei templi buddhisti ed induisti, colmi di persone, ma con un silenzio impressionante. Mi sono sentito curiosamente al centro dell’attenzione solamente per la mia barba e i miei tatuaggi. La gente continuava a fissarmi incuriosita, i bambini mi seguivano con lo sguardo e con dei sorrisi grossi così. Ho scoperto i Paradisi delle Gili, senza traffico, senza strade, senza macchine. Soltanto me, le mie gambe, un’unica stradina sterrata, le biciclette e qualche cavallo a sgroppare da una parte all’altra dell’isola. Ho riassaporato la cucina asiatica: riso, vegetali, le zuppe anche con quaranta gradi e quel sapore spicy che ti accompagna per tutta la vacanza.
Ho vissuto l’emozione e la curiosità di arrivare in una città senza un posto in cui dormire. Ti affidi alla buona sorte, alla fiducia nelle persone locali che incontrerai durante il tuo cammino, ti affidi a quelle persone che ti diranno “ti trovo io un posto che fa per te“. E così è stato. Mi sono abituato alle maglie incollate alla pelle per l’umidità, all’iced tea da scolare in due sorsi, al banana pancake a colazione accanto a riso e noodle. Mi stavo abituando a incrociare gente da ogni angolo del mondo e a quel “where are you from?” che ci fa sentire tutti figli dello stesso cielo. Mi stavo abituando agli spostamenti in bus, senza aria condizionata e ai sorpassi azzardati in contromano con strombazzamenti di clacson poco eleganti. Non mi abituerò mai ai taxi che camminano a passo d’uomo e ti suonano per farti salire a tutti i costi o a quelli che non vogliono proprio mettere il “meter” per conteggiare la tariffa.
Avrei voluto abituarmi al verde e la tranquillità di Ubud, avrei voluto rimanere seduto sul cratere di quel vulcano un’infinità. Come a dire, “ho sudato così tanto per vederti da quassù, adesso fatti coccolare un pò”. Ho scoperto il caffè Luwak, famoso per essere ricavato dalle feci dello zibaldino. Ok, tutti scandalizzati ma.. le uova che mangiamo da dove escono?
Sono tornato poi in Thailandia: abbracci, risate e sorrisi che mi mancavano da tanto, troppo tempo. I sorrisi di chi hai scoperto quasi per caso.
Bangkok è scintillante sempre. Di giorno tra il traffico folle e i colori viola, giallo e verde dei taxi, tra il campanellìo dei carrozzoni a spasso per la città, tra il rumore di posate che maneggiano nei pentoloni a bordo strada, tra le frizioni ormai consumate dei tuk tuk. Di notte brilla da qualsiasi parte tu la osservi. Dal basso, dall’alto, da seduto, da sdraiato.
Bangkok ti culla sul Chao Praya, ti ci fa specchiare con i suoi grattacieli immensi e i riflessi dorati dei templi. Bangkok è caos nella calma più totale. Bangkok è sacro e profano, assieme. Bangkok è il sorriso di persone semplici che riescono a comunicarti con uno sguardo quello che il resto del mondo non riesce a dirti con delle parole. E ti arriva dritto al cuore. Ecco perchè ogni volta che vado via da Bangkok, quel velo di malinconia, vola subito via. Perchè vado via sempre con una promessa. Quella promessa di rivedersi presto.
Arrivo poi a Kuala Lumpur. Anche qui grattacieli. E palme. Lavori in corso, altri grattacieli. Uno skyline molto occidentale. Uno degli skyline che più mi piacciono. Di notte ha pochi eguali. L’immensità delle Twins, delle Torri Petronas, accarezzano in un abbraccio invisibile il Public Bank Building, un palazzone che di notte si riveste di riflessi dorati. A pochi passi (immaginari) da questa unione si erge poi la Menara Tower, brillante come non mai. A Kuala Lumpur, complice barba e abbronzatura ereditata dalle spiagge indonesiane, mi hanno parlato molte volte in arabo. A Bangkok durante una visita ad un tempio hindi ci avevano chiesto ironicamente il perchè della nostra visita, visto la nostra fede musulmana (?)
A Kuala abbiamo visitato una Moschea indossando una vistosa tunica rossa. Avevamo pantaloncini e ciò ci impediva l’accesso. Prima di entrare abbiamo praticato il lavaggio delle parti più esposte allo sporco e alla polvere. La chiamano “abluzione” e si esegue su piedi, faccia, mani, avambracci, bocca, naso e orecchie. E’ stata una bella esperienza. Nonostante non sia un credente, tutte le religioni e le loro tradizioni mi affascinano. Mi è piaciuto anche immischiarmi nei luoghi più “local” per quanto riguarda il cibarmi. Volevano portarmi da KFC perchè secondo loro facevano il “pollo buono” (follia!) Mi sono buttato in un mega ristorante malesiano: local food, si mangia con le mani, si impara qualche parola nella lingua locale e sicuramente ci si alza con pancia piena e cervello fresco!
E’ per questo che rifarei tutto. Perchè ogni viaggio ti insegna qualcosa e sono sicuro che questa esperienza mi abbia lasciato tanti insegnamenti che porterò dentro di me e in giro per il mondo.
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