Iniziamo così: ma io come faccio a spiegarvi in un articolo un viaggio così folle e carico d’emozioni?
Ok, non sarò breve. Partiamo dalla fine.
Sono qui al confine tra Vietnam e Cambogia, letteralmente aggrappato al ventilatore. Sono seduto sulla sedia di un’agenzia che si sta occupando del mio visto per varcare il border. Tra un’ora saluterò il Vietnam e continuerò il mio viaggio, con direzione Sinhaoukville. Trentacinque giorni di Vietnam, respirati a pieni polmoni, con tutta la sua umidità, la brezza marina sulla costa e le strade polverose che per 3800 chilometri mi hanno fatto compagnia. Ho percorso il Vietnam da nord a Sud in sella ad una ventennale Honda Win100, consegnando materiale scolastico e beni di prima necessità ai bimbi degli orfanotrofi che qui in Vietnam sono un’infinità. Mio fedele compagno di viaggio Gabriele Saluci, più preparato di me nei percorsi sulle due ruote.
Com’è iniziato tutto? Vietnam, dicevamo. Hanoi prima tappa. Arrivo da Bangkok. Scendo dall’aereo, ritiro i bagagli, cambiano nastro, aspetto, alla fine i nastri sono due. Aspetto di nuovo. Presi! Esco dalla zona arrivi e trovo Gabriele che mi aspetta: è stravolto. È arrivato ad Hanoi dopo innumerevoli scali. Siamo pronti a partire. Scheda SIM vietnamita: 10 euro per 9 giga di traffico, durata 40 giorni. Quello che ci serve! La attiviamo direttamente in aeroporto, troverete l’ufficio alla vostra sinistra, una volta usciti dal ritiro bagagli. Staff gentilissimo, che ci ha aiutato a prenotare anche un taxi che ci portasse al nostro hotel. Ne abbiamo trovato uno nei dintorni della città vecchia.
Passiamo i primi giorni ad Hanoi senza il tempo necessario di abituarci al fuso orario (che io ho già superato a dire il vero, vista la mia permanenza in Thailandia prima di arrivare qui), al caldo, al traffico infernale. La parola traffico è davvero un eufemismo. I veicoli e le migliaia di motorini scorrono senza alcuna regola. Contromano e suonando in continuazione il clacson, senza aggressività ma soltanto per avvisarti che loro ci sono, che loro ti stanno sorpassando, che loro “biiip”.. eccone un altro! Penso che un qualsiasi atteggiamento del genere in Italia sfocerebbe in rissa in pochissimi minuti. Eppure qui nonostante l’inferno e l’anarchia stradale, i loro visi sono così distesi.
In questi primi giorni abbiamo diversi appuntamenti per organizzare al meglio il nostro progetto “Carichi per il Vietnam”, una stupenda chiave di lettura, interpretabile in più modi.
- Incontriamo i ragazzi di Asiatica Travel, un tour operator asiatico in contatto con clientela italiana. Ci intervistano in italiano e ci donano più di 30 kg di materiale scolastico da consegnare al primo orfanotrofio.
- Incontriamo Andrea, uno dei ragazzi di PAW, un’associazione di piloti qui in Vietnam che ci ha aiutato nella preziosa ricerca delle moto. Ad Hanoi incontriamo anche Edoardo mentre una volta arrivati a Saigon conosceremo anche il mitico Saverio, poi Fortunato e Paride, mentre i contatti con il grande Francesco, il primo ad interessarsi al nostro progetto e Riccardo e Pierluca, rimarranno virtuali.
- Incontriamo Cecilia Piccioni, Ambasciatore italiano ad Hanoi, che manifesta tutto il suo entusiasmo per questa nostra “missione”. Nell’incontro conosciamo anche Nicolò, Claudio e Pham. Ci chiedono ogni dettaglio e curiosità su quello che abbiamo in mente. Ci danno consigli importanti, rassicurazioni e tantissimi sorrisi. Tutto ciò che ci serviva!
Proviamo le moto e nonostante i loro vent’anni di carriera si presentano benissimo. Per me è la prima volta alla guida di una cilindrata del genere e devo prendere ancora confidenza con la frizione, tant’è che la moto rimane più spenta che accesa. Nel mentre dopo i vari incontri e aver ritirato le moto non ci resta che trovare due box da agganciare per riempirli poi con materiale scolastico. Scopriremo poi dopo che Hanoi, come succedeva molti anni fa, è divisa in quartieri e vie a seconda del mestiere. Siamo passati dal quartiere del vimini, a quello della plastica, dalla via dei falegnami a quella del cuoio e via così dicendo, arrivando fino a quella del metallo e dell’acciaio. La prima che ci sarebbe tornata utile, l’abbiamo scoperta alle otto di sera. Ci troviamo in una bottega dove una donna sulla quarantina fatica a capire le nostre indicazioni. Semplifichiamo le comunicazioni per quel che possiamo con Google Translate e qualche immagine scaricata da internet, provando a farle capire in questo modo quello che ci sarebbe servito. Dopo quasi un’ora riusciamo a montare i quattro box d’acciaio a lato delle nostre moto, due ciascuno. Stanchi morti, colmi di sudore e ancora non abituati a questa umidità asfissiante, andiamo a dormire.
Quarantotto ore dopo il nostro arrivo abbiamo già un incontro con un orfanotrofio nella zona di Ba Vi, sessanta chilometri a nord di Hanoi. Smontiamo i cassoni, li carichiamo del materiale scolastico e li ricarichiamo con lacci e funi, alla ben che meglio. Ci lasciamo alle spalle il traffico di Hanoi e ci mettiamo quasi mezz’ora per uscire dalla città, complice il traffico. Una volta arrivati sulla strada che ci avrebbe portato in direzione dell’orfanotrofio, la situazione migliora. Le strade non sembrano poi così dissestate ma a farci tenere sempre in allerta ci sono i camion che viaggiano a velocità spericolate armati dei loro potentissimi clacson e poi coloro che decidono di viaggiare in senso opposto, seppur in autostrada. A voi è mai capitato di essere sorpassato da una gru in autostrada? Beh in Vietnam non è un evento così eccezionale.
Arriviamo a Ba Vi e qui abbiamo un’ottantina di bambini che ci aspettano. Il centro è formato da diverse strutture: una è dedicata ai bimbi fino ai due anni d’età, una per i maschietti e un’altra per le femminucce. C’è poi una mensa, una piccola residenza per le persone che qui ci lavorano e anche una sorta di costruzione all’aperto con un palchetto. È lì che i bimbi ci aspettano e ci accolgono con alcuni balletti a ritmo di musica. Il responsabile del centro poi ci presenta, noi parliamo al pubblico in inglese e un’interprete traduce il tutto in vietnamita. Ci chiedono anche se ci piacerebbe cantare una canzona italiana ma noi per il bene dei bimbi preferiamo iniziare con la distribuzione delle penne e dei quaderni che Asiatica Travel ci ha consegnato. In questo orfanotrofio ci sono 83 bimbi che sono stati abbandonati dai propri genitori perché nati tutti con HIV. I loro sorrisi e i loro balletti al nostro arrivo sono stati la prima grande emozione che questo viaggio mi regalerà, ma siamo appena all’inizio.
Il secondo orfanotrofio che andiamo a visitare si trova nella provincia di Yen Bai, a quasi due ore da Hanoi. In questa struttura lavorano i volontari di VIVPS e oltre alla responsabile vietnamita conosciamo anche altre tre ragazze che si occupano di questi ragazzi. La situazione qui è però diversa: questo centro ospita 170 bambini e ragazzi nati con gravi disabilità fisiche e mentali ed altrettanti adulti che praticamente sono nati qui e sempre qui, passeranno il resto della loro vita. Parlando con la responsabile, ci dice che molti di loro probabilmente devono le loro disabilità e malformazioni agli agenti chimici usati durante la guerra nel Vietnam.
Ci accompagnano poi nella zona dei più piccoli e nonostante noi fossimo sudati marci per il caldo che ci aveva accompagnato durante il nostro viaggio in moto, alcune bimbe non smettono di abbracciarci appena entriamo nella loro stanza. Nessuno di loro parla e non è nemmeno in grado di scrivere, così il nostro apporto a questo centro si è tramutato in una donazione di beni di prima necessità e di cibo, che coprirà le loro merende per un intero mese. Mentre torniamo al luogo dove abbiamo lasciato le moto con il bus, una bimba si avvicina e si siede vicino a me.
“Posso sedermi vicino a te sul bus?”
“Ma certo piccolina” le rispondo.
Lei è Lily, una bimba vietnamita di 7 anni che parla benissimo l’inglese. Mi racconta che le piacerebbe imparare a suonare il piano e il violino. Mi chiede se sono sposato e mi dice che quando mi sposerò sicuramente avrò una moglie bellissima e farò due bimbi. Lei dice che non si vuole sposare in Vietnam, ma in India o in Thailandia (amore lei, che pensieri a 7 anni!) Mi dice se ho mai visto la neve e mi chiede com’è fatta. Mi fa mille domande ed è stupenda. Quanto è bella la curiosità e la genuinità dei bimbi.
COSA VEDERE AD HANOI:
- Mausoleo di Ho Chi Minh
- Lago Hoàn Kiếm
- Prigioni Hỏa Lò
- St. Joseph’s Cathedral
- Vietnam Military History Museum
- Keangnam Hanoi Landmark Tower
Il giorno della nostra partenza ufficiale da Hanoi veniamo accolti nuovamente dall’Ambasciata che ci invita a “Casa Italia” per due chiacchiere sulle nostre prime esperienze e ci dà forza per questo mese che ci aspetta sulle strade del Vietnam. Baci, abbracci e foto di rito. Finalmente si parte! In un progetto dove abbiamo deciso di unire il turismo alla solidarietà, la nostra prossima tappa non poteva che essere Halong Bay.
Centosessanta chilometri infiniti. Un caldo asfissiante ci ha “accompagnato” per tutto il nostro tragitto. Non so quante volte ci siamo fermati alle stazioni di servizio per letteralmente lavarci e rinfrescarci con tanto di maglie e pantaloncini ancora indossati. Dopo essersi rimessi in sella, il tutto si asciugava in venti minuti o poco più. Halong Bay è bellissima e perdersi nella magia dei suoi faraglioni è stato a dir poco unico. Ad Halong per la prima volta ci hanno fatto parcheggiare le moto all’interno della hall dell’hotel. Non che noi l’avessimo chiesto, ma per loro sembrava la soluzione più adeguata.
In Vietnam pochissime persone parlano inglese, però tutti hanno voglia di comunicare. Una sera ad Hanoi due bimbe si sono avvicinate chiedendoci se potevano parlare con noi per esercitarsi a parlare una lingua straniera. Oggi un signore che ha visto le moto così cariche ci comunicava a gesti e con gli occhi di chi voleva dimostrarci il suo stupore. A cena siamo capitati in un ristorante locale, in una zona sperduta. Ci hanno fatto capire che eravamo i primi stranieri a mangiare da loro e si sono tutti alzati dedicandoci un brindisi.
COSA VEDERE AD HALONG BAY:
- Godersi la Baia con una crociera notturna
- Cua Van Floating Village
- Bai Chai Bridge
- Soi Sim Island
- Ti Top Island
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Lasciamo Halong e ci spostiamo a nord, andando a toccare quasi il confine con la Cina. Ci dirigiamo verso Sapa, un quadretto spettacolare racchiuso nel verde delle terrazze e delle risaie che la caratterizzano. I tratti etnici qui cambiano e le donne indossano vistosi orecchini tondi e decine di braccialetti ai loro polsi, con le colorazioni che contraddistinguono queste zone e le decorazioni dei vari souvenirs: bianco, rosa, verde, rosso e azzurro. Arriviamo a fatica fin quassù. Ci siamo scampati un tifone che ha colpito Hanoi e anche le frane che hanno devastato questa zona.
Le strade, dapprima chiuse, riaprono pian piano a corsia unica e sull’asfalto notiamo crepe vistose e le rocce e il fango che staccatisi dalle montagne hanno portato con sé tutto ciò che hanno trovato sul loro cammino, comprese alcune case andate completamente distrutte. Il nostro avvicinarsi a Sapa è difficoltoso, vista la mole delle nostre moto, che con i due box a lato non sono più agili come una volta. Il fango in alcune zone della strada arriva alle caviglie, il cammino è tortuoso e in pendenza e la mia moto nelle salite deve procedere con la prima, altrimenti si spegne. In tutto questo inseriamoci la testardaggine dei vietnamiti che nonostante le condizioni stradali al limite, continuano a guidare senza alcuna regola. Ma alla fine.. arriviamo!
Sapa si presenta bene, molto fresca e senza umidità, tant’è che la sera dobbiamo tirare fuori la felpa, a differenza dell’inferno di Hanoi. La cittadina si sviluppa sulla via principale del turismo, colma di attività commerciali e finisce in una magnifica piazzetta con delle gradinate, a ricordare un anfiteatro. Lì vicino poi una Chiesetta e un bellissimo lago, a far da cornice alle montagne.
Durante il nostro girovagare incontriamo Mamakè, una donna sulla quarantina dalla risata e dal sorriso contagioso. Ci propone di andarla a trovare nel suo villaggio, ci farà da guida sulle montagne e tra le risaie e ci ha messo a disposizione anche casa sua come appoggio dove poter dormire, tutto per pochissimi euro. Perché no? Accettiamo. Con le moto cariche e i box ingombranti ci avventuriamo tra le sterrate stradine di montagna di Sapa. Strette, strettissime e fangose, dribblo massi e ostacoli vari fino a quando perdo il controllo ed uno dei box si incastra su una sporgenza tirandosi dietro tutto il peso della moto e anche l’altro cassone. La moto cade quasi imbizzarrita e io riesco a saltare in tempo. Il tutto si svolge in una stradina di montagna in discesa, larga poco più di un metro. Provo a valutare il danno ma i cassoni sono ormai irrecuperabili e impossibili da rendere nuovamente saldi. Le aste sulle quali li avevamo incastrati hanno perso tutti i tasselli, vista la botta e ora questi pendono pericolosamente. Nel mentre tre ragazzini si fermano e provano ad aiutarmi, sistemandoli momentaneamente. Anche Mamakè, suo marito e Gabriele, che nel mentre mi avevano perso per strada, tornano indietro per capire dove fossi finito. Tra una parolaccia e l’altra arriviamo lì dove Mamakè voleva portarci: una bellissima cascata. Dopo una mezz’oretta di relax, ci rimettiamo in cammino. Devo rifare la stessa strada fatta per arrivare fino a qui e con la precarietà di questi box giganti non è un affare. In salita, sul fango, il più delle volte mi tocca scendere e spingere la moto, scivolando a mia volta. Inutile dire quanto abbia odiato questa giornata e la mia scelta di avventurarmi in moto. Dopo innumerevoli salite arriviamo in una casetta. Mamakè e suo marito ci dicono di parcheggiare qui le nostre moto. Così faccio. Nel mentre stacco i cassoni della mia moto e li regalo a loro. Seppur inutilizzabili per il trasporto su strada, rimangono comunque ottimi contenitori per i più disparati usi. Prendiamo i nostri zaini e seguiamo Mamakè e suo marito. Ci stanno portando nella loro homestay. Iniziamo una camminata tra le risaie e tra sentieri attraversati da ruscelli. Camminando tra le risaie riesco appena a vedere lo spazio dove poggiare il piede e infatti più di una volta scivolo, finendo dentro le terrazze con tutta la gamba, con l’acqua fino alle tibie. Lo spettacolo una volta arrivati però è ineguagliabile.
Sono circondato dalla natura, da cinque bellissimi cagnolini e dall’amore di queste due persone, conosciute poche ore fa, che ci hanno accolto nella loro casa dicendoci “stasera saremo la vostra famiglia”. Piango di gioia. La cena vietnamita è stata fantastica. Mamakè ci ha preparato degli involtini di uovo, noodle e zucchine, varie pietanze tra le quali maiale e chili, insalata di bambù e riso, proveniente dalle loro risaie, dalle quali riescono a filtrare un liquido alcolico, chiamato “happy water”, che ogni dieci minuti mi offrivano gentilmente in un bicchierino, portandomi quasi all’ubriachezza, al grido di “chuka chuka”, una sorta di cin cin! Sembrava brutto rifiutare no?
COSA VEDERE A SAPA:
- Quang Truong Square
- Holy Rosary Church Or the Stone Church
- Tram Ton Pass
- Muong Hoa Valley
- Vivete l’atmosfera di Sapa attraverso i trekking tra le risaie e l’esperienza nei villaggi etnici e le loro homestay
Dopo questa esperienza stupenda salutiamo Mamakè. Ci aspetta un lungo viaggio verso Vinh, dove abbiamo in programma visite ad altri orfanotrofi. Il tragitto tra Sapa e Vinh è di circa 630km, così spezziamo il viaggio fermandoci a Tam Coc dove le donne guidano le barchette remando con i piedi e noi invece rimaniamo innumerevoli volte senza benzina. Così fermiamo il primo che incrociamo per strada facendoci accompagnare al punto di servizio più vicino, armati di due bottiglie di plastica da un litro e mezzo. Da lì in poi, saranno le nostre indispensabili compagne di viaggio. Che poi qui la benzina la puoi trovare anche nei posti o nelle baracche più impensabili. La vendono in bottiglie di vetro o te la servono attraverso delle torrette che tanto assomigliano a quelle della birra che trovi in alcuni pub nostrani.
Arriviamo a Vinh e prendiamo un hotel sulla strada, il primo che incrociamo perché arriviamo davvero stremati. Tra l’altro durante il tragitto la moto perde anche il cavalletto centrale. Non so quale miracolo ha fatto sì che questo non rimanesse incastrato nei raggi della ruota posteriore o che a quella velocità non mi tranciasse una gamba. Amen. Ci sistemiamo, ci togliamo i caschi e iniziamo ad armeggiare con i cassoni. Un signore incuriosito da questo nostro “carico” ci chiede il perché di questi box così voluminosi. Così, gli spieghiamo il nostro progetto con gli orfanotrofi e si offre per accompagnarci in alcuni centri di sua conoscenza.
Bingo! il tempo di farci una doccia e siamo di nuovo per strada. Tranh, questo il suo nome, ci mostra prima dove potremmo comprare il materiale scolastico e poi ci accompagna nei due orfanotrofi, a una decina di chilometri da qui e poco distanti uno dall’altro. Non saremmo mai riusciti a trovarli sul web, così come abbiamo fatto con gli altri contatti, poiché trattasi di realtà locali. Visitiamo il centro, parliamo e chiacchieriamo con i responsabili e uno di loro, parlicchia anche un po’ l’italiano. Siamo entusiasti di queste opportunità e ci dirigiamo nella cartoleria che Tranh ci aveva mostrato in precedenza. Il tutto si trasforma in una grande festa, vista la quantità e la mole di materiale che andremo ad acquistare. Una parte del carico la posizioniamo nei cassoni, ora che ne abbiamo uno a testa e posizionati nella parte posteriore della moto. Acquistiamo anche centinaia di quaderni posizionandoli in una scatola di cartone ai lati delle nostre moto, immobilizzando il tutto con dei fili di nylon. I responsabili della cartoleria (una famiglia intera praticamente) sono divertiti da questa situazione e ci aiutano ridendo e sghignazzando in continuazione.
Abbiamo fatto davvero un grosso carico dato che oggi andremo ad incontrare diverse centinaia di bambini in diversi centri. I primi incontri procedono tra curiosità, abbracci e sorrisi ma Pham, un seminarista che ci accompagnerà nel prossimo centro, ci avvisa che dobbiamo fare in fretta perché per arrivare nel suo villaggio ci vuole più di un’ora di strada. E così partiamo. Non ricordo il nome del suo villaggio (forse Hung Thanh) ma per arrivare lì ce ne succedono di tutti i colori: inizia a piovere, ci fermiamo, ripartiamo con un kway in nylon perché non possiamo perdere tempo. Arriviamo nei pressi del suo villaggio e ci fermiamo per ricaricare i cassoni: facciamo il pieno di quaderni, libri, dizionari, pastelli, lavagnette, gessetti e matite colorate. Abbiamo altri duecento chili di materiale da consegnare. Nel mentre lasciamo ovviamente le strade asfaltate e ci avventuriamo in sentieri fangosi, popolati da mucche al pascolo e contadini al lavoro. Il carico dei miei quaderni sulla sinistra della moto inizia a barcollare e qualche filo cede, rendendo il tutto il più pericolante possibile. Non possiamo fermarci e stringiamo i denti, sperando che il tutto resista fino al prossimo orfanotrofio. Pham ci dice che mancano soltanto una decina di minuti al nostro arrivo, ma le strade dissestate e piene di buche non aiutano il nostro percorso tant’è che ad un certo punto il mio carico di quaderni sulla sinistra si stacca, la moto inizia a sbandare poiché si ritrova senza 20kg da un lato che equilibravano il tutto. Stringo più che posso il manubrio cercando di controllare i movimenti impazziti di quest’ultima ma l’unica cosa che posso fare è lasciarla e buttarmi dal lato opposto. La moto dopo pochi metri si adagia su un lato a pochi metri da un fossato, io riesco a rimanere sulle mie gambe senza cadere per terra e Gabriele, che era dietro di me, per evitare i pezzi che volavano dalla mia moto sbanda anche lui.
Due moto su due per terra. Nel mentre Pham non ci vede più torna indietro e ci dà una mano. Tiriamo sù la moto, il cassone è ammaccato ma comunque integro, mentre il box di cartone contenente venti kg di quaderni, che era volato via precedentemente e che aveva causato questa serie di intoppi, viene posizionato sul motorino di Pham, per questi ultimi trecento metri che ci separano dall’orfanotrofio. La moto ci mette un po’ a ripartire ma riesco ad accenderla e pian piano procedo lungo la strada fangosa fino a che una salita non mi porta all’accesso di questo orfanotrofio e lì i brividi riempiono ogni centimetro della mia pelle.
Più di quattrocento bambini festanti ci corrono attorno, sorridendo, gridando e saltando. Nel mentre Gabriele continua a girare intorno a loro con la moto, prima di parcheggiarsi al mio fianco e dirmi “Ce l’abbiamo fatta!”
Mi tolgo il casco e ancora non ci credo. È tutto bellissimo. Li guardo e scaricando tutta l’adrenalina che ho in corpo li saluto.. “Hellooooo!” e loro in coro rispondono festanti con le loro vocine “Hellooooo!!!” Sono stupendi. Mi faccio aiutare dagli altri a scaricare la moto in modo che essa non si impenni nuovamente. Abbiamo di fronte a noi più di quattrocento bambini, quasi tutti orfani. Ci spostiamo in una Chiesa di fronte a noi, in modo da poterci stare tutti quanti. I bimbi e i ragazzi sono già tutti seduti dentro e quando entriamo ci riservano un’ovazione. Di nuovo i brividi, mi commuovo ma non lo dò a vedere.
Ci sediamo di fronte a loro, con i più piccoli d’età di fronte a noi e man mano gli altri. Pham traduce le nostre parole in inglese e Gabriele spiega il nostro progetto. Quando passano il microfono a me, non posso dire altro che una cosa semplice “Non vedo l’ora di abbracciarvi tutti” e appena Pham traduce, esplode un esultanza fragorosa. Li adoro. Iniziamo a scartare il materiale e a distribuirlo. Quaderni, penne, pastelli e lavagnette per i più piccoli, dizionari per i più grandi. È bellissimo vederli tutti ordinati, gentili, educati e sorridenti. Non smetto di avere gli occhi pieni di lacrimoni pronti ad inondarli tutti. Passiamo quasi due ore con loro e purtroppo, visto l’avvicinarsi delle ore più buie, già dobbiamo tornare. Ci mettiamo in posa per le foto di rito. Un arcobaleno di colori e di sorrisi. Siete bellissimi.
Li saluto gridando “Bye Bye” per ben tre volte.. e per altrettante volte mi rispondono tutti in coro. Non mi muoverei di qui nemmeno a pensarci. Pham si rimette in sella con noi e ci accompagna nuovamente verso l’hotel. Il buio arriva presto, le nostre luci non illuminano abbastanza e nonostante questo, riusciamo a tornare sani e salvi. Oggi, ci è andata bene. Mi sdraio sul letto e non posso fare altro che riguardare le foto e i video scattati oggi.
Ci rimettiamo in moto e continuiamo con le nostre visite e donazioni lungo il nostro percorso che ci sta portando a sud. Una di queste riguarda un orfanotrofio situato a 200 chilometri da Vinh, gestito da una ragazza che sta studiando per prendere i voti, che ci invita a passare la notte nella struttura. A metà percorso la mia moto sbanda e io rallento. Mi fermo, controllo la benzina. C’è. Riparto ma il manubrio continua a non essere stabile. Mi fermo nuovamente e chiamo Gabriele, che nel mentre era già qualche chilometro più avanti. Dopo una rapida occhiata troviamo il problema: i raggi della mia ruota posteriore sono tutti completamente distrutti. Siamo nel bel mezzo del nulla. A qualche centinaio di metri da noi c’è una costruzione. Ci avviciniamo e il signore parla soltanto vietnamita. Chiamiamo il ragazzo che ci ha affittato le moto ad Hanoi e li facciamo comunicare tra di loro. Nel mentre Gabriele con la sua moto va a perlustrare la zona. Dopo quasi tre quarti d’ora torna a bordo di una camionetta.
Avevamo trovato un meccanico! Carichiamo la moto e la portiamo a riparare. I pezzi di ricambio tardano un po’ ad arrivare e tra una chiacchiera e l’altra siamo fermi da tre ore. Un vicino del meccanico mi mette suo figlio in braccio e facciamo una foto ricordo. Potremmo essere i primi stranieri a passare di qui. La ruota nel mentre sembra riparata, facciamo qualche giro di prova e… sembra tenere! Paghiamo il nostro debito, salutiamo tutti e avvisiamo l’orfanotrofio che saremmo arrivati in ritardo.
Nel mentre fa buio ma non abbiamo scelta. Non possiamo fermarci, non ci sono strutture per strada. I nostri fari sono deboli e le strade non illuminate. Abbiamo una visibilità probabilmente di un metro e ci aiutiamo con il flash del cellulare. Ci fermiamo, controlliamo la mappa. Ancora una decina di chilometri ad Huong Phuong. Arriviamo in una zona piena di casolari di campagna. Non c’è nessuno e non sappiamo a chi chiedere riferimenti. Incrociamo una signora che accompagna la sua bici a piedi e noi nel mentre chiamiamo la ragazza dell’orfanotrofio. Le facciamo parlare al telefono tra di loro. Ok, è fatta. La signora ci accompagna alla struttura. Ci siamo. Siamo arrivati anche qui. Nonostante sia tardi ci preparano la cena e ci mostrano il posto dove dormiremo.
La mattina successiva conosciamo finalmente la ragazza con la quale avevamo parlato al telefono per tutto il tempo e Lei ci presenta tutte le persone che lavorano qui. C’è un signore neozelandese in pensione che ha deciso di insegnare l’inglese ai bimbi in questa struttura, c’è la Madre Superiora, ci sono decine di volontarie tra cucina, scuola e attività ricreative con i bimbi. Nel mentre ci organizziamo per fare la spesa e portare la nostra donazione a questo centro: torniamo con le moto cariche. Questa volta compriamo anche olio per la cucina, materassi e molti ma molti più giochi, oltre al materiale scolastico e l’immancabile riso. Ci mettiamo a giocare un po’ con loro e i nostri regali sembrano piaciuti davvero. Una decina di bimbe al nostro arrivo in moto si siedono sui gradini e ci intonano una canzone. Con noi c’era anche una ragazza taciturna che da piccola veniva chiusa dai propri genitori (se così si possono definire) in una gabbia, per attirare gli animali da cacciare. Ora questa ragazza ha quasi trent’anni e purtroppo questa esperienza le ha provocato gravi ritardi mentali. Quanto può fare schifo la mente di un essere umano?
Nei giorni successivi durante il nostro percorso d’avvicinamento a Phong Na visitiamo altri orfanotrofi, in maniera meno avventuriera e più convenzionale. Nel nostro incontro in Ambasciata, ci avevano consigliato una visita al villaggio di Bang Doong, nei pressi delle grotte di Son Doong, scoperte nel 1991. Il villaggio si trova in mezzo alla giungla e si raggiunge dopo una mezz’ora di tornanti e due ore di trekking (affidatevi ad Oxalis Adventure). Ci informiamo su ciò che potrebbe essere utile: decidiamo di portare 90kg di riso ed alimenti, come la fish sauce. Portiamo anche penne e quaderni perché da poco più di un anno in questo villaggio troviamo anche una piccola scuola fatta in legno, con due aule. Qui vivono quaranta persone, metà delle quali sono bambini. Il Capo Villaggio ha più di settantanni ed è l’unico a parlare un po’ di vietnamita, visto che qui hanno un dialetto differente. Dapprima ha un atteggiamento distaccato, poi quando capisce le nostre intenzioni si lascia andare ad un sorrisone. Gli doniamo i tre sacchi da quaranta chili l’uno che tre forzuti portatori hanno tenuto sulle loro spalle fin qui. Eroici. Ci presenta sua moglie e le altre famiglie del villaggio. Ci invita a casa, ci fa vedere una sua foto con Ho Chi Minh. Comunichiamo a gesti ma va benissimo così. Nel mentre una famiglia ci invita a pranzo. Ci sediamo con loro e ci offrono la famosa happy water. Non fai in tempo a bere che già il bicchiere è nuovamente pieno. Mentre mi appresto a tornare nella giungla incrocio due occhi lontani.
Un signore mi guardava da lontano con sguardo curioso, accovacciato sulla porta di casa sua, più alta di un metro rispetto al terreno perché qui quando il fiume si alza, porta via tutto. Mi sono avvicinato porgendogli la mano. In quel momento i suoi occhi azzurri si sono illuminati e un sorriso paterno è comparso sul suo volto. Questa foto racchiude la mia esperienza nel villaggio di Ban Doong.
Da Phong Na a Huè, la nostra prossima meta, ci aspettano altri 250 chilometri. Il tempo è clemente e il cielo è coperto. Non fa caldo e non c’è umidità. Arriviamo a destinazione senza inconvenienti che, rispetto alle esperienze precedenti, è già un ottimo traguardo. A dire il vero, l’unica cosa strana che mi è capitata è vedere un bullone della mia moto volare dal mio manubrio verso il nulla più assoluto. Nulla di preoccupante. Arrivati a Huè una bellissima sorpresa ci attende. Una mail di Agoda che, venuta a conoscenza del nostro progetto benefico in Vietnam, ha deciso di aiutarci per le nostre sistemazioni notturne lungo il tragitto. Il primo hotel dove veniamo ospitati è l’Eldora. Una piscina, aria condizionata, acqua calda ed un materasso comodissimo. Da quant’è che non vedevamo tutto ciò? Sembra il Paradiso! Non ci crediamo. Approfittiamo di questa ventata di positività e visitiamo la cittadella di Huè.
Dopo aver esplorato i resti di ciò che fu bombardato da vietnamiti, francesi e americani poi, continuiamo il nostro tour solidale. Alcuni nostri contatti che avevamo preso in precedenza prima della partenza non ci rispondono, così siamo costretti a trovarne dei nuovi. Alcune mappe e alcuni indirizzi non coincidono così ci perdiamo diverse volte. Abbiamo letteralmente svaligiato un supermercato e una cartoleria che abbiamo trovato in città e dopo un’ora buona di tragitto finalmente troviamo l’orfanotrofio: oggi siamo al Duc Son Orphanage di Huè. Nessuno parla inglese, tranne una ragazza con la quale avevamo parlato al telefono e che cercava di guidarci nella direzione giusta. È un orfanotrofio gestito da sorelle di fede buddhista e ci accolgono con delle tuniche lunghe e il capo con i capelli rasati a zero. Ci fanno vedere la struttura. Nella prima stanza vediamo subito i bimbi più piccoli. L’ultimo arrivato ha appena 23 giorni e invece una bimba di pochi mesi, si aggrappa alle sbarre della culla in acciaio e mi guarda curiosa.
Continuiamo la nostra visita e vediamo che la maggior parte dei bimbi è riunita in un sala che in quel momento fa vedere Mister Bean in tv. È il momento del relax. Non la pensano così due bimbe che giocano con una fune attorno ai miei piedi. Impossibile tirarsi fuori dai giochi e inizio a giocare con loro. Faccio l’errore di porgere loro il palmo della mano per giocare a “batti 5” ed ecco che le due iniziano a sfidarsi a chi tira lo schiaffo più potente.
La ragazza nel mentre ci presenta la responsabile del centro e noi lasciamo loro le nostre donazioni. Olio da cucina, Riso, giocattoli e materiale scolastico.. ma davvero tanto! Abbiamo riempito due Wisshh Travel Bag!
COSA VEDERE A HUE:
- Città imperiale di Hue (La Cittadella)
- Thien Mu Pagoda
- Tam Giang Lagoon
- Imperial Tomb of Dong Khanh
Il nostro viaggio continua verso sud e la nostra prossima tappa è Nha Trang. Per motivi tecnici e mancanza di tempo saltiamo Da Nang, Hoi An e Da Lat, tre mete che comunque sono da tenere a livello turistico in altissima considerazione. Ci prendiamo due giorni di pausa e scopriamo l’atmosfera frizzante della città e i bellissimi colori che regala il lungomare.
Prendiamo il telefono e chiamiamo un orfanotrofio che si trova a pochi chilometri da qui. Ci risponde una voce tremolante in vietnamita. Chiediamo se parla inglese, allora ci risponde “Yes”. Continuiamo la nostra difficoltosa chiacchierata telefonica e ci facciamo confermare l’indirizzo. Ci mettiamo in moto, andiamo ad acquistare il necessario. Il mio cassone è strapieno e non riesco a tenere la moto ferma senza farla sbandare. Gabriele appoggia sulla pancia della moto due pacchi di riso da venti chilogrammi. Procediamo così. Ci fermiamo per controllare la strada e i pacchi cadono. Siamo impossibilitati a scendere. Il mio cavalletto non tiene e la moto è troppo pesante. Due signore sedute lì vicino vedono la situazione, raccolgono i due pacchi di riso e li ripongono nuovamente sulla moto di Gabriele. Ringraziamo e continuiamo. Non riusciamo a trovare questo centro. Un signore ci dà delle indicazioni e alla fine decide di prendere il suo scooter e accompagnarci. Era un centinaio di metri più in là. Avevamo sbagliato il numero civico, ma eravamo comunque nei paraggi. L’importante è essere arrivati.
“Sapete il francese?” “Un pochino”.
“Ok allora io vi parlo in francese e voi mi rispondete in inglese”.
“Ma Lei come si chiama?”
“La traduzione italiana sarebbe Desiderato. Ma so che da voi non è un nome comune”.
Oggi siamo andati in visita nel centro di questo ragazzino di 87 anni. I ragazzi presenti in questa struttura sono sordomuti e molti di loro hanno disabilità fisiche. Qui vivono e riescono anche a lavoricchiare!
Quando ci accoglie ci riempie di domande curiose e ci chiede se facciamo parte di qualche organizzazione. Gli diciamo che l’idea è stata nostra e non abbiamo alle spalle nessun ente organizzativo, se non l’amore di centinaia di persone che ci hanno aiutato in questo percorso nell’acquisto di tutti i materiali da donare. Quando gli diciamo che siamo italiani, gli si illuminano gli occhi. “Sono stato a Roma, al Vaticano, quasi dieci anni prima che voi nasceste!” ci dice. Ci offre l’acqua e ci porge un casco di banane. “Prendetene quante ne volete”.
Questi sono alcuni dei ragazzi che abbiamo incontrato oggi. Abbiamo donato loro alimenti e del materiale per la scuola. Sono orfani sordomuti, mentre altri purtroppo hanno disabilità che non consentono loro di camminare. Eppure, i loro occhi mi parlavano e una ragazza con la maglia rosa, per ringraziarci, ha più volte disegnato un cuore nell’aria, con le dita. Loro vivono qui, lavorano come sarti e ci hanno mostrato tutte le loro creazioni con orgoglio. Li salutiamo tutti e loro ci stringono la mano ripetutamente e con forza.
A Nha Trang il nostro hotel offerto da Agoda è l’An Vista e il mio balcone si affaccia su un aeroporto in disuso. La pista è lunghissima e ci piacerebbe davvero andare a fare qualche ripresa laggiù. Ci studiamo le strade per arrivare in zona e percorriamo per qualche centinaio di metro il perimetro. È davvero invalicabile. Ci fermiamo in una delle torrette di guardia e ci confermano che non ci faranno mai entrare. Missione fallita. Così, lungo la strada, ci ricordiamo di aver letto che in questa zona esiste un villaggio abbandonato. Ci rimettiamo in moto. Dopo una quindicina di chilometri arriviamo. Possiamo vedere da lontano enormi capanne con il tetto in paglia triangolare. Ci avviciniamo e vediamo che è in opera un’operazione di smantellamento. Anche qui ci bloccano, non si entra. Due su due. Ci rinunciamo e torniamo in hotel ma qui, il primo vero monsone del viaggio si abbatte su di noi. Pur provando a tenere ferma la moto impugnando il manubrio il più forte che potevo, questa sbandava pericolosamente sull’asfalto bagnato e a pochissimi centimetri da camion che nonostante le piogge e il vento continuavano a sorpassare a forte velocità e contromano. Era impossibile fermarsi ed impossibile resistere a questa furia della natura. Non mi restava che continuare e sperare di arrivare il prima possibile in hotel, al riparo. Per fortuna pochi minuti più tardi la pioggia si attenua, così da poter continuare gli ultimi chilometri bagnato fradicio sì, ma non in pericolo imminente.
COSA VEDERE A NHA TRANG:
- Godetevi le spiagge e la vita notturna
Apriamo la mappa del Vietnam e il nostro dito scorre sempre più giù. Un’altra manciata di chilometri e arriviamo a Mui Nè. Prima di partire Marco, un mio amico di Torino, me la consiglia altamente: “Vedrai, ti piacerà!” In effetti sarà una delle città che più mi colpirà. Mentre arriviamo a destinazione la sensazione di guidare su una lingua di cemento che separa due pareti sabbiose, con dune altissime, che a tratti coprono la mia visuale sul mare, è stranissima. La sabbia è arancione e crea dei lineamenti sinuosi che man mano si alternano con le decine e decine di palme che costeggiano la strada. Sembra più di essere in California che in Vietnam. Arriviamo a destinazione e questa volta Agoda si è superata. Casa nostra sarà il Mia Resort di Mui Nè. Una perla incastonata in una foresta artificiale, in camere profumate, con doccia all’aperto in vero stile tropicale, piscina da sogno a ridosso della spiaggia bianca, bianchissima. Probabilmente il posto più chic dove sono stato nella mia vita.
Mui Nè è l’ultima tappa che ci separa dalla nostra destinazione: Ho Chi Minh City (o Saigon).
COSA VEDERE A MUI NÈ:
- White Lake Bau Trang
- Dune rosse
- Dune bianche
- Spiagge
- Mercato e Porto di Mui Nè
Stanno arrivando gli ultimi duecento chilometri, quelli che ci porteranno ad Ho Chi Minh City. Arriviamo in città ed abbiamo l’onore di conoscere Carlotta Colli, la Console italiana e suo marito. Incontriamo nuovamente l’Ambasciatrice. Abbiamo tanto da raccontare e i nostri occhi carichi di storie a lieto fine si mischiano con il loro entusiasmo e la loro voglia di scoprire ogni minimo dettaglio. Mostriamo loro foto e video inediti ed organizziamo la nostra ultima visita in un orfanotrofio di Saigon. Assieme a noi oltre alla Console e il marito ci sono anche i ragazzi di PAW, Saverio e Fortunato, che ci hanno portato in giro a fare la spesa per la grande visita: matite, quaderni, acquerelli, temperino, gomme, pennarelli, un ventilatore e tanti giochi. Tantissimi. Così arriviamo nella struttura con due sacchi enormi a testa. Quando entriamo attiriamo l’attenzione, dato che una delle aule si trova immediatamente di fronte a noi. I bimbi iniziano a distrarsi, ci guardano con fare sospetto e l’insegnante non può fare altro che assecondarli.
Iniziamo ad aprire i sacchi con il materiale e.. chi li segue più?
I fogli dei quaderni vengono sfogliati con curiosità, le macchinine iniziano a percorrere chilometri infiniti sulle pareti dell’orfanotrofio e quando provo a girare un video decine di bimbi fanno a gara per entrare nello schermo, tra salti e sorrisi di gioia.
COSA VEDERE A HO CHI MINH CITY:
- Museo della Guerra
- Cu Chi Tunnels
- Bitexco Tower
E quindi sì, questa volta è davvero finita.
Un bacio te lo meriti, davvero. Mi hai accompagnato per quasi 4000 chilometri. Abbiamo superato strade sterrate e autostrade, abbiamo superato la pioggia e il fango che mi toccava le caviglie, abbiamo superato spiagge e fiumiciattoli. Un bacio te lo meriti anche se in salita non ce la facevi e se la frizione mi faceva diventare maleducato. Un bacio te lo meriti anche se sbandavi pericolosamente, se mi hai lasciato a piedi nel bel mezzo del nulla per troppe volte per un serbatoio vuoto, per una catena che si sganciava o per una ruota che si afflosciava. Un bacio te lo meriti perché mi hai accompagnato da duemila bambini che ogni volta che sentivano il tuo timido rombo dell’acceleratore saltavano di gioia come se fosse arrivato il loro supereroe preferito. Il mantello non ce l’ho e i superpoteri nemmeno, ma ti giuro che ti ho guidata con il cuore in mano. Lo stesso cuore che in migliaia di pezzettini piccoli ho donato ad ognuno di loro, ad ogni bimbo che mi chiedeva se anche domani fossi tornato da loro, ad ogni bimbo che genuinamente, quando riceveva per sbaglio due quaderni, uno me lo restituiva.
Un bacio te lo meriti perché mi hai fatto conoscere un Paese che mi è entrato nel cuore e che non saluterò per un addio ma soltanto con un arrivederci!
35 giorni su due ruote per 3800 km percorsi. Siamo arrivati a Saigon nel bel mezzo del diluvio, forse a rendere il tutto più epico. Abbiamo visitato una decina di orfanotrofi, donando loro quasi una tonnellata di materiale scolastico e cibo. Abbiamo camminato in mezzo alla giungla per raggiungere un villaggio di 40 persone, senza elettricità e medicine ma con un sorriso grande così. Siamo rimasti innumerevoli volte senza benzina, senza una ruota e con tanta voglia di spaccare tutto e mollare, ma abbiamo sempre incontrato sorrisi sconosciuti che ci hanno aiutato lungo il nostro percorso. Senza parlare la loro lingua siamo riusciti a comunicare soltanto con la forza di uno sguardo. Abbiamo scoperto uno dei popoli più belli d’Asia. Bellissimi d’animo e bellissimi esteticamente, con dei lineamenti che nulla hanno da invidiare alle modelle da copertina, dalla moderna Saigon ai villaggi di SaPa. Proprio lì dove abbiamo dormito a casa di Mamakè, che ci ha accolto per una notte, in mezzo alla natura. Soltanto il verde, le montagne, le risaie e l’amore della sua famiglia.
È stato bellissimo scoprire che tutti i membri dell’Ambasciata e del Consolato italiano qui in Vietnam, avessero lo stesso nostro entusiasmo per questa impresa. Grazie a Loro, ci siamo sentiti a casa.
Abbiamo incontrato e abbracciato quasi duemila bambini, quasi tutti orfani e abbiamo visto i loro salti di gioia per un libro e una penna e io, quasi me ne vergogno. Penso sempre che avrei potuto fare di più, penso che avrei voluto fermarmi con loro per un tempo indefinito e non per poche ore, ma penso anche che questa non sarà l’unica esperienza di questo genere che farò. Non dico di averli aiutati perché sminuirei chi questo lavoro lo fa tutti i giorni, sminuirei l’impegno dei milioni di volontari, insegnanti e dottori che salvano loro le vite in ogni istante e mi piacerebbe che loro, con questo libro e questa penna, possano avere quella voglia di intraprendere lo stesso cammino, che nel nostro piccolo, abbiamo intrapreso noi con questa avventura. Una volta pensavo che la beneficenza andasse fatta in silenzio.
Ora penso che nell’era dei social, della condivisione e dell’emulazione questo progetto sia l’esempio lampante di quanto questa frase sia sbagliata. Raccontando questo folle viaggio solidale abbiamo coinvolto più di 220 persone, che con le loro donazioni ci hanno aiutato a comprare il materiale per questi bimbi. Quanti bimbi avremmo potuto incontrare invece senza il vostro prezioso aiuto? Non è meglio emulare e condividere un’idea del genere piuttosto che quelle schifezze che girano sul web? E quindi grazie a tutti Voi, che ci avete accompagnato questo mese.
- Grazie alle 216 persone che hanno creduto in noi, partecipando alla raccolta fondi su GoFundMe per acquistare il materiale scolastico da consegnare durante il nostro tragitto.
- Grazie a Wisshh Travel Bag che ci ha donato 25 borse dove poter inserire il materiale da consegnare, partecipando anche alla raccolta fondi.
- Grazie a La Fondazione Lo Specchio dei Tempi di La Stampa, con il prezioso aiuto di Angelo Conti, che ha partecipato attivamente alla raccolta fondi.
- Grazie ai ragazzi di PAW, che ci hanno aiutato nella ricerca delle moto e sono stati gentilissimi e disponibilissimi per tutto il nostro viaggio.
- Grazie a Europ Assistance, che ha deciso di starci vicino e di offrirci la copertura per il nostro viaggio.
- Grazie all’Ambasciata Italiana ad Hanoi, al Consolato Italiano ad Ho Chi Minh City, a Cecilia Piccioni, Nicolò Costantini, Carlotta Colli e tutti coloro che ci hanno accompagnato in questo folle viaggio solidale su due ruote.
- Grazie ad Agoda e tutti i manager degli hotel del Vietnam che hanno deciso di ospitarci appena sono venuti a sapere del nostro progetto benefico. Quindi grazie a Eldora Hotel di Huè, An Vista Hotel di Nha Trang, Mia Resort di Mui Nè, Oscar Hotel di Saigon, Elwood Resort di Phu Quoc. Grazie ad Andrea Bicini, il fratello maggiore che non ho mai avuto (ma che ora a quanto pare… ho!), che ha permesso che tutto ciò fosse possibile.
Da oggi, grazie a Voi, questi bimbi saranno un po’ meno soli.